giocare con i vocaboli e la metrica – Francesco Gucini

Ci chiamano spesso poeti, noi cantautori, termine che peraltro detesto, facendo probabilmente torto tanto ai poeti che ai cantautori. Siamo due entità distinte che talvolta si avvicinano. Io, immodestamente, credo di aver lavorato molto sulle parole. Certo, qualche critico distratto potrebbe accusarmi di scrivere da anni la stessa canzone, ma commetterebbe un grosso errore. Inviterei questi critici a studiare per bene la forma, si accorgerebbero così che uso spesso un procedimento tecnico atipico che mi consente (che non è come dire: mi consenta…) di giocare con i vocaboli e la metrica. Non solo io, naturalmente. Ma anch’io. Abbiamo rinnovato il linguaggio della canzone. Prima di noi, tutto era più superficiale. Non mi sento invece per niente innovatore da un punto di vista musicale. Sono molto più bravi i miei musici di quanto lo sia io. A me basta un tessuto armonico o melodico che mi permetta di lavorare sulle parole. Io amo la ballata, la formula che si ripete sempre identica, l’ultimo verso che si ribadisce per tre volte. Dal canto popolare ho ereditato la tendenza a modulare la nota finale alla terza sopra o alla terza sotto. Ma la musica resterà sempre, per me, secondaria alle parole. Io amo le parole che si fanno musica anche senza note. E amo raccontare Le storie della mia gente, di questa montagna, di chi e stato anarchico e di chi, come Amerigo, è partito chiudendo dietro a se la porta verde, ma sognando sempre di ritornare. Le storie anche mie, perche in fondo quell’uomo era il mio volto, era il mio specchio. Ecco, io chiedo questo, ai miei anni: di avere sempre storie da bisbigliarmi, per poterle poi scrivere, raccontare, cantare. Finché non verrà il tempo.

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dimensionec

Se apro la porta al mondo, forse qualcuno entrerà

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